La radice: il ki
Chi intraprende un serio studio delle arti tradizionali
estremo orientali[1],
siano queste l’arte del giardino, del Tè, della calligrafia, della poesia e
della spada, non può non accorgersi che esse sono tra loro intimamente
connesse.
Un sottile filo conduttore le unisce, l’idea del fluire del ki[2]
all’interno e all’esterno di tutte le cose. Le capacità dell’apprendista
giardiniere, pittore, calligrafo, spadaccino o praticante della Cerimonia del
Tè dipendono anche e soprattutto dalla personale esperienza e ricerca del ki. Percepire lo scorrere del proprio ki e quello di tutti gli esseri, animati
o apparentemente inanimati, captare la vibrazione leggera che caratterizza ogni
cosa ed è anche energia pura che permea l’intero Universo, può essere una Via
per superare il dualismo tra l’interiore e l’esteriore, il soggetto e
l’oggetto, il corpo e il cuore-mente, il se e il nemico, l’ospite e l’invitato.
Se l’artista padroneggia un elevato livello di sensibilità percettiva allora
potrà fare sua questa forza vitale e imprimerla nelle sue opere conferendo loro
qualcosa di veramente speciale. In questo senso è possibile riscontrare
un’analogia con il primo dei “Sei principi” della pittura di Xie-He, illustre
teorico cinese del quinto secolo: “...in
qualsiasi buona pittura si deve realizzare una perfetta, armoniosa
corrispondenza tra ritmo interiore dell’uomo e il ritmo vitale della natura
esteriore in modo tale che, in conseguenza, un indefinibile tono spirituale
pervada l’intero spazio del dipinto, vitalizzandolo in modo sottilissimo e
conferendo un significato metafisico agli oggetti, quali possano essere. Quando
un pittore riesce a realizzare questo principio, la sua opera sarà colma di una
particolare specie di energia spirituale che si esprime nella pulsazione
ritmica della vita. Sarà un’opera del ritmo onnipervadente della Vita cosmica
stessa, in cui lo spirito dell’uomo sarà in rapporto diretto con la realtà
interiore del Cielo e della Terra”[3].
[1] Queste arti sono contraddistinte dalla parola
giapponese dō 道 (in cinese dao, “via, strada, metodo”): il cammino intrapreso con lo studio di
anche solo una di queste arti può durare tutta la vita, poiché la méta
prefissata non è il raggiungimento di un puro virtuosismo artistico. Le arti-dō sono vie già esplorate e percorse: il
maestro è quindi la guida grazie alla quale è possibile avanzare e non
perdersi.
[2]
Ki 氣 (in cinese qi) ha una vasta gamma di significati tra i
quali: 1. foschia, vapore; 2. aria, atmosfera; 3. i fenomeni naturali
che prendono luogo tra cielo e terra; 4. energia radicale generatrice
dell’universo e dell’attività del corpo umano; 5. forza, vigore; 6. carattere
umano; 7. stato d’animo, spirito, mente, sentimento; 8. la natura (il carattere
innato); 9. elementi compositivi dell’universo; 10. aspetto, segno, sintomo. T.
Morohashi, Shin-kanwa-jiten [Nuovo
vocabolario cinese-giapponese], Taishūkan, Tōkyō 1992.
[3]
Cfr. T. Izutsu, La filosofia del
Buddhismo zen, Ubaldini, Roma 1984, p. 171.