lunedì 18 novembre 2013

La radice: il ki

La radice: il ki


Chi intraprende un serio studio delle arti tradizionali estremo orientali[1], siano queste l’arte del giardino, del Tè, della calligrafia, della poesia e della spada, non può non accorgersi che esse sono tra loro intimamente connesse.
Un sottile filo conduttore le unisce, l’idea del fluire del ki[2] all’interno e all’esterno di tutte le cose. Le capacità dell’apprendista giardiniere, pittore, calligrafo, spadaccino o praticante della Cerimonia del Tè dipendono anche e soprattutto dalla personale esperienza e ricerca del ki. Percepire lo scorrere del proprio ki e quello di tutti gli esseri, animati o apparentemente inanimati, captare la vibrazione leggera che caratterizza ogni cosa ed è anche energia pura che permea l’intero Universo, può essere una Via per superare il dualismo tra l’interiore e l’esteriore, il soggetto e l’oggetto, il corpo e il cuore-mente, il se e il nemico, l’ospite e l’invitato. Se l’artista padroneggia un elevato livello di sensibilità percettiva allora potrà fare sua questa forza vitale e imprimerla nelle sue opere conferendo loro qualcosa di veramente speciale. In questo senso è possibile riscontrare un’analogia con il primo dei “Sei principi” della pittura di Xie-He, illustre teorico cinese del quinto secolo: “...in qualsiasi buona pittura si deve realizzare una perfetta, armoniosa corrispondenza tra ritmo interiore dell’uomo e il ritmo vitale della natura esteriore in modo tale che, in conseguenza, un indefinibile tono spirituale pervada l’intero spazio del dipinto, vitalizzandolo in modo sottilissimo e conferendo un significato metafisico agli oggetti, quali possano essere. Quando un pittore riesce a realizzare questo principio, la sua opera sarà colma di una particolare specie di energia spirituale che si esprime nella pulsazione ritmica della vita. Sarà un’opera del ritmo onnipervadente della Vita cosmica stessa, in cui lo spirito dell’uomo sarà in rapporto diretto con la realtà interiore del Cielo e della Terra[3].





[1] Queste arti sono contraddistinte dalla parola giapponese (in cinese dao, “via, strada, metodo”): il cammino intrapreso con lo studio di anche solo una di queste arti può durare tutta la vita, poiché la méta prefissata non è il raggiungimento di un puro virtuosismo artistico. Le arti- sono vie già esplorate e percorse: il maestro è quindi la guida grazie alla quale è possibile avanzare e non perdersi.
[2] Ki (in cinese qi) ha una vasta gamma di significati tra i quali: 1. foschia, vapore; 2. aria, atmosfera; 3. i fenomeni naturali che prendono luogo tra cielo e terra; 4. energia radicale generatrice dell’universo e dell’attività del corpo umano; 5. forza, vigore; 6. carattere umano; 7. stato d’animo, spirito, mente, sentimento; 8. la natura (il carattere innato); 9. elementi compositivi dell’universo; 10. aspetto, segno, sintomo. T. Morohashi, Shin-kanwa-jiten [Nuovo vocabolario cinese-giapponese], Taishūkan, Tōkyō 1992.
[3] Cfr. T. Izutsu, La filosofia del Buddhismo zen, Ubaldini, Roma 1984, p. 171.